FRATEL  GIACOMO  HILARIO  
Manuel Barbal Cosàn  (1898 -1937)

Festa liturgica:  9 ottobre

L’essenziale della sua biografia:
         Manuel Barbal Cosàn nasce ad Enviny provincia di Lérida e diocesi di Seo de Urgel, il 2 gennaio 1898.
         I primi anni di Manuel trascorrono tra i sacrifici e le gioie di un paese di alta montagna. I lavori dei campi, il paesaggio dei Pirenei e di aspre montagne, tutto contribuisce a formare il suo carattere laborioso e serio, sensibile e poetico.
         Nel gennaio 1908 è studente nel convitto dei Padri Vincenziani di Rialb.
         Nell’ottobre 1910 Manuel entra nel Seminario di La Seo, dove ottiene voti eccellenti. Una sordità progressiva lo preoccupa e fa da barriera alla vocazione ecclesiastica. Ritorna tra i suoi, ma la chiamata del Signore non si è affievolita. Incontra un Fratello delle Scuole Cristiane che gli parla del suo Istituto: «Questo mi piace», egli esclama... e chiede di entrare nel noviziato a Irún; il suo nuovo nome è: Fratel Giacomo Ilario.
          Dal 1918 al 1926, Giacomo Ilario fa le sue prime esperienze apostoliche in vari centri lasalliani. Il primo è Mollerussa, dove trascorre cinque anni. Tutti, Fratelli e alunni, alla fine del primo anno affermano che «Fratel Giacomo Ilario è un gran maestro e un santo». Per un principiante è davvero tanto! Nel 1923 lo troviamo a Manresa, dove insegna latino. Ma la sordità si accentua e deve rinunziare a molte lezioni, dedicandosi piuttosto al giardino e all'orto.
          Da Mollerussa passa a Oliana, dove rimane solo un anno. Viene quindi inviato al convitto Sainte-Germaine de Pibrac, nell'Alta Garonna di Francia. Qui rimane per otto anni, come insegnante dei novizi per alcune materie proprie del noviziato, finché nel 1932 è nominato «animatore vocazionale».
          Durante la rivoluzione spagnola nell'anno 1936, Fratel Giacomo Ilario è arrestato a Mollerussa, sulla strada di Enviny. È dapprima affidato, in stato di libertà vigilata, alla famiglia Badia, che rimane edificata del totale abbandono del Fratello alla volontà del Signore, della sua continua preghiera, del suo zelo di catechista per i ragazzi che stavano in casa. Trasferito al carcere di Lérida, occupa la cella n. 31. Dato che veniva da Cambrils, è portato al Comitato di Tarragona e internato nella nave-carcere «Mahon». Questo avveniva nel dicembre 1936.
           Il giudizio è fissato per il gennaio 1937. Fratel Giacomo chiede due fogli di agenda e lì stesso, con una matita, scrive alla sorella e ai nipoti: «Sono stato condannato dal tribunale popolare: non vergognatevi di me e non piangete; non ho fatto nulla di male. Pregate per me e io pregherò per voi. Arrivederci in cielo». La grafia è sicura, senza tremiti.
           Due giorni dopo - si voleva far presto per evitare un probabile indulto, che infatti arrivò il 18 gennaio a esecuzione avvenuta - alle tre a mezzo del pomeriggio Giacomo Ilario è portato in un boschetto della collina «La Oliva», accanto al cimitero.
           In attesa del rappresentante del tribunale, con le braccia incrociate e lo sguardo al cielo, Fratel Giacomo rimane calmo davanti ai miliziani. Le sue ultime parole: «Amici, morire per Cristo è vivere!».

*******

Qualche particolare del suo martirio:

Quando l’alto e snello diciannovenne Manuel Barbal Cosàn entrò nel Noviziato dei Fratelli, soffriva già di una progressiva forma di sordità. A causa di questo suo handicap svolse una missione educativa e istruttiva un po’ ridotta, finché non ne fu del tutto esonerato e dovette pensare a coltivare l’orto della Comunità.

Nel dicembre del 1936 stava recandosi al paese natio (Lérida), quando fu fermato dai miliziani. In rapida successione fu lasciato in libertà vigilata presso una famiglia, poi incarcerato e infine rinchiuso in uno dei famosi battelli-prigione.

Il processo a suo carico si celebrò nel gennaio del 1937.

Prima del dibattito, l’avvocato difensore (un certo Montanés) gli propose di dire che era l’ortolano della Comunità e non un Fratello: “Certamente ti lasceranno andar via e scamperai dalla morte”. Questa proposta suonò strana alle sue orecchie, e confidò subito ad un suo confratello compagno di prigionia: “Questo avvocato non mi piace per niente. Io non posso negare di essere un Fratello delle Scuole Cristiane”. Tuttavia l’avvocato difensore ci provò lo stesso e lo presentò appunto come un pover uomo, un semplice ortolano di convento. E, rivolto al suo assistito, gli chiese di confermare con un semplice sì quanto lui aveva detto. “No, affermò, Fratel Giacomo; io sono un religioso vero e proprio: sono un Fratello delle Scuole Cristiane”. Intervenne allora il Presidente del tribunale, spazientito per la diversità delle due affermazioni. “L’accusato risponda con esattezza alla mia domanda: è un ortolano o un frate?”. La risposta di Fratel Giacomo fu: “Faccio l’ortolano solo perché la mia sordità mi impedisce di compiere la missione di educatore e insegnante”. Dopo un breve consulto, la corte emise il suo verdetto: “E’ reo di morte”. Subito qualcuno inoltrò la domanda di grazia. Fratel Giacomo, invece, volle sapere dal confratello cosa avessero deciso, dato che la sua quasi completa sordità non gli aveva fatto sentire bene il verdetto. Quegli, che non aveva il coraggio di dirgli la verità, tergiversò passandosi evasivamente una mano sul collo. “Quando?” volle sapere Giacomo che aveva capito tutto. L’altro rispose: “Non l’hanno detto”. Ed era vero.

Due giorni dopo alle tre del pomeriggio fu portato in un boschetto vicino al cimitero. I miliziani del plotone di esecuzione, mentre aspettavano l’arrivo dei membri del tribunale che dovevano assistere all'esecuzione, rimasero interdetti davanti alla sua serenità. Gli domandarono a bruciapelo: "Ma lo sai che ti stiamo per ammazzare?". La sua risposta fu un'autentica testimonianza di fede: "Amici, morire per Cristo è vivere". Il plotone si posizionò a tre metri da Fratel Giacomo, che incrociò le braccia sul petto, alzò gli occhi al cielo e si mise a pregare movendo le labbra. “Fuoco!” ordinò il capo-plotone. Tutti spararono, ma nessun proiettile colpì Fratel Giacomo. I fucilieri rimasero sconcertati. “Fuoco!” fu ordinato per la 2^ volta. Allora i miliziani, atterriti, gettarono via i fucili e scapparono. Il capo-plotone, pieno di rabbia, si avvicinò a Fratel Giacomo e lo freddò con un colpo di pistola. Il giovane e snello Fratel Giacomo, cadde a terra senza vita, all’età di 36 anni.

Poco dopo, arrivò il decreto con la concessione della grazia!…

Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 29 aprile 1990

Fu canonizzato dallo stesso Pontefice il 21 novembre 1999, assieme ai Martiri di Turòn.

Festa liturgica:  9 ottobre