Fratel  SCUBILION  
(Jean-Bernard Rousseau)
(1797 - 1867)

Cenni biografici:
1797 -  Nasce il 22 marzo ad Annay-la-Côte (Borgogna – FRANCIA). E’ il primo dei quattro figli di una modesto tagliapietre.
1808 -  Riceve la Prima Comunione e poco dopo la Cresima.
1822 - Fa un anno di Noviziato a Parigi e un secondo ad Alençon.
1823 - In più riprese fa scuola a Poitiers,  Alençon e  Chinon.
1827 -  Fa la Professione Perpetua
1833 -  Si imbarca per l’Isola della Réunion (vicino al Madagascar).
Vi resterà sino alla morte, esercitando il suo apostolato a Saint Benoit, Saint Paul, Saint Leu, La Possession, Saint Denis e Sainte Marie.
1867 -  Muore il 13 aprile a Sainte Marie, all’età di 70 anni.
1989 -  E’ dichiarato Beato da Giovanni Paolo
II

Festa liturgica:   27 settembre  

 

 

IL SOGNO DI UN VECCHIO MISSIONARIO  (1855)

Dopo 22 anni trascorsi come missionario nell’isola della Réunion,  Fratel Scubilion, che contava 58 anni, si lascia andare col pensiero alla sua infanzia e alla sua terra natia. Lo fa, scrivendo una lettera al Direttore della scuola lasalliana di un paese vicino al suo.  Per il contenuto potremmo giudicarla come una bella pagina di romantica evasione nel tempo e nello spazio, anche se Fratel Scubilion non sapeva nemmeno dell’esistenza di quella corrente letteraria.

Fratel Scubilion si trova, dunque, al di là dell’Oceano Indiano e, con lo sguardo patetico e nostalgico di chi si sente giunto al tramonto, indulge a ricordare gli anni giovanili, gli avvenimenti, le cose e le persone che rompevano la monotonia di un piccolo centro agricolo. Ricorda in particolare quando una grossa Croce di legno fu issata in cima ad una collina, a imperitura testimonianza delle Missioni del 1816: lui aveva 19 anni e per la prima volta, dopo il buio catacombale causato dalla rivoluzione francese, il cristianesimo tornava a vivere alla luce del sole. Ogni parroco della zona partecipò alla cerimonia con la sua rappresentanza di fedeli e Fratel Scubilion ebbe l’onore di portare la piccola Croce della sua parrocchia. “Ebbi l’onore – scrive nella lettera – di portare in trionfo la Croce di Cristo”. Questo gesto non era per Fratel Scubilion un inconscio presagio di quello che, di lì a non pochi anni, avrebbe fatto nelle lontane terre della Réunion, di innalzare la Croce di Cristo in zone abbandonate e di portare il messaggio evangelico a schiavi e derelitti?  Credo di sì, anche perché alcuni mesi prima di morire Fratel Scubilion farà issare nella “sua” isola una grossa Croce che, posta in cima ad una montagna di 1000 metri di altezza, domina ancor oggi un’ampia zona.

Fratel Scubilion ricorda ancora nella sua lettera quando i Fratelli aprirono la loro scuola in un paese vicino al suo: ne parla con piacere perché, ammaliato dalla loro presenza, decise di farsi anch’egli Fratello. Inoltre invita il Direttore ad una rilassante passeggiata fuori paese, perché potrà godere della vista di spettacolari campi di grano e di lunghi filari di viti carichi di uva. Se poi salirà ad Annay, vi troverà un gioiello di chiesa e potrà sentire il suono argentino di quella campana che 58 anni prima aveva annunziato agli angeli che lui, in quella chiesa, aveva ricevuto il battesimo ed era diventato figlio di Dio.
Sì, Fratel Scubilion ha amato la sua terra, la terra di Borgogna, celebre per il suo buon vino; e probabilmente avrà sentito cantare quel popolare réfrain che può essere tradotto così: “Sono allegro e buontempone, sono un vero borgognone”. Era fiero, quindi, di essere nato lì il 21 marzo del 1797 o, secondo il calendario repubblicano allora in vigore, il 1° Germinale dell’Anno Quinto.

UNA TRAVERSATA OCEANICA  (1833)

Aveva 36 anni Fratel Scubilion quando, assieme a due confratelli, salpò per l’isola della Réunion, territorio francese situato a 800 Km. dal Madagascar ed esteso quanto la più grande delle Baleari. 

Tale fu il suo entusiasmo per la realizzazione di un desiderio cullato per dieci anni, che si macchiò di una indelicatezza che oggi sarebbe giudicata come “radicalismo evangelico”: si imbarcò senza passare per il paese natale a salutare i suoi.

I nostri tre missionari partirono confidando nella Provvidenza divina e affidandosi alla perizia del capitano, perché si avventuravano in un viaggio della durata non calcolabile, comunque circa tre mesi, dato che bisognava circumnavigare l’Africa toccando il Capo di Buona Speranza e bisognava cercare il vento adatto slargando talvolta fino alle coste del Brasile.

La monotonia a bordo era opprimente. Essi potevano dedicarsi alla preghiera e alla meditazione senza limite di tempo, ma senza poter ascoltare la Messa per mancanza di un sacerdote a bordo: oltre questo, non c’era altro che potesse contrastare la noia.

Lo spirito missionario ed ecumenico dei tre Fratelli li spinse, per la festa del Corpus Domini, ad una impegnativa conversazione con il capitano della nave sulla Sacra Scrittura e sull’Eucaristia; ma l’iniziativa abortì quasi sul nascere, dato che il capitano era protestante e l’intransigenza di entrambe le parti trasformò l’incontro in un dialogo tra sordi. Tuttavia il principio di una civile convivenza fu salvato anche per il “bon ton” caratteristico dei francesi.

I tre Fratelli, in quanto “ecclesiastici”, furono esonerati dalla festa chiassosa e mondana che si è soliti organizzare al passaggio dell’equatore; ma essi (saggiamente addottrinati prima della partenza) non mancarono di offrire al capitano e all’equipaggio piccoli cadeaux, un beneaugurante brindisi con una apprezzata bottiglia di maldera e 5 franchi ad ogni marinaio: l’iniziativa fu molto apprezzata da quei burberi lupi di mare.

Allo sbarco, ci fu da parte dei confratelli un’ accoglienza fraterna e calorosa, in evidente contrasto con quella delle autorità:  “Che diavolo: solo tre Fratelli; ne aspettavamo almeno il triplo”.

Le prime impressioni furono contrastanti: meraviglia per la colorata pelle degli indigeni, per i frutti e piante mai visti, per la temperatura (lì iniziava la primavera) come quella che si registra in Francia nel mese di agosto. L’isola della Réunion era stata descritta come un Eden e come una terra promessa. Per certi versi lo era, ma fu una delusione constatare che essa mancava di sufficiente viabilità e di essenziali mezzi di comunicazione.

Terra promessa da conquistare, dunque, specialmente nel versante istruzione e azione pastorale che erano quasi a livello zero, nonostante la timida fioritura avuta con i padri Lazzaristi all’inizio del ‘700.  Ma proprio per questo i Fratelli erano venuti nell’isola. Fra poco i giovani creoli non cresceranno più in sfrenata libertà come le piante della foresta, trascorrendo la giornata all’ombra delle grandi piante e godendo oziosamente del bel clima della loro terra. Fra poco saranno attratti dalla fatica del sapere. E anche gli adulti fra poco cesseranno di vivere con il marchio di una secolare schiavitù. Gli uni e gli altri, specialmente per merito di Fratel Scubilion, si affrancheranno da ingiusti legami, diventeranno istruiti quel tanto che basta e specialmente diventeranno genuini cristiani e figli prediletti di Dio.

I PRIMI ANNI IN TERRA DI MISSIONE  (1833)

Una data memorabile fu per Fratel Scubilion quella del primo giorno di scuola in terra di missione (18 novembre1833). Con il cuore in sussulto accoglie in un modesto ambiente trasformato in aula i suoi primi alunni: pochi in verità, ma destinati a diventare 60 alla fine dell’anno. Per lui si realizzava quello che aveva tanto desiderato: istruire i ragazzi indigeni della lontana terra dei Borboni.

Anche Fratel Scubilion ebbe ad imparare molto nel primo anno. Si accorse che i ragazzi creoli erano precoci ma incostanti, immaginativi ma poco inclini alle scienze astratte, svelti a capire ma svelti anche a dimenticare, incostanti se non continuamente stimolati. Fratel Scubilion capì tutto questo e usando le dovute cautele riuscì a far presa su questi ragazzi “strani”, a vincere la loro “nonchalance” e a guadagnarsi il loro affetto. Certamente non fece affidamento solo sul suo sapere che, a causa degli studi fatti a singhiozzo, era limitato ma pur sufficiente per insegnare in una classe del primo livello.  Furono specialmente la pazienza e la padronanza di sé (di queste, sì, egli era ben dotato) a creare un clima propizio allo studio e a calmare gli sbalzi di umore dei suoi alunni. Si racconta che uno di essi, per fare una bravata, una mattina entrò in classe strappando in faccia a Fratel Scubilion le “Buone Note” che aveva ricevuto il giorno prima: la serenità del santo maestro sgonfiò sull’istante la stupida provocazione di quell’alunno.

Fratel Scubilion dovette occuparsi anche delle mansioni temporali della piccola Comunità e di una quindicina di giovani e poveri pensionati, che condividevano con i Fratelli anche la nottata: tutto questo dopo una giornata di scuola. Spesso capitava che gli alunni giungessero a scuola con gli abiti zuppi per una improvvisa pioggia: Fratel Scubilion aveva pronti i necessari indumenti asciutti, che aveva racimolato chiedendoli in carità ai benestanti della zona.

Fratel Scubilion colse l’occasione per allargare il suo apostolato agli adulti.  Sull’isola abbondavano ricche ed estese piantagioni di caffè e canna da zucchero e l’enorme quantità di manodopera sgobbava intere giornate per la retribuzione di un tozzo di pane. Ad essi Fratel Scubilion dedicherà le ore dopo il lavoro sino a notte inoltrata; per essi combatterà per anni e vincerà una battaglia da tutti ritenuta persa in partenza: quella della emancipazione, che invece sarà concessa dal Governo di Parigi nel dicembre del 1848. Per questo nell’isola della Réunion Fratel Scubilion ancor oggi è ricordato e benedetto come il liberatore degli schiavi.

TRE STRANI EPISODI

Il piccolo sordomuto.  E’ una piccola storia, che non si sa se collocarla tra i miracoli o considerarla frutto della pazienza di Fratel Scubilion. Tra i suoi alunni nell’isola della Réunion c’era il piccolo Ottavio Pitou, sordomuto, gravemente handicappato in quanto, trovandosi tra altri ragazzi perfettamente sani, era sistematicamente evitato e ignorato. Fratel Scubilion lo prese a cuore e ogni giorno con santa pazienza riversava su di lui il suo lavoro di istitutore, con ripetuti esercizi delle labbra, della bocca, della gola e della voce. Inoltre ogni giorno, prima di rimandarlo a casa, attingeva con il dito all’olio della lampada del Santissimo e segnava una piccola croce sulle sue labbra e sulle sue orecchie. Dopo due mesi, il fanciullo iniziò ad articolare qualche parola riuscendo a farsi capire e a partecipare alla conversazione, con grande gioia di tutti.

Il mantello scambiato.  Siamo nel 1865 e nell’isola della Réunion un Fratello della Comunità di Fratel Scubilion va in chiesa con i suoi alunni per ascoltare la Messa Domenicale. Stranamente, si sente pervaso da un insolito fervore mistico, che né la vigilanza degli alunni, né l’omelia del sacerdote, né i canti liturgici riescono ad attenuare. Meravigliato del protrarsi di questo straordinario fervore mistico, pensò che forse poteva essere causato da qualche flusso esterno, di cui, comunque, non riusciva ad individuare la natura. Tornato in Comunità, si sente dire da Fratel Scubilion: “Abbiamo scambiato i mantelli: tu hai preso il mio e io il tuo.” Solo allora il Fratello riuscì a darsi la spiegazione di tutto. A distanza di 35 anni, rimaneva ancora convinto che quel suo momento di grande fervore spirituale fu dovuto al fatto che aveva tenuto su di sé il mantello del santo Fratello Scubilion.  Si era ripetuta in qualche maniera, e fatte le dovute proporzioni, la domanda di Cristo quando sentì che da lui era uscita una forza miracolosa. “Chi mi ha toccato?”.

Massoni incalliti. C’erano nell’isola della Riunione degli attempati massoni che dopo anni e anni di militanza nelle idee e nella fede massonica, ad un certo punto cambiarono bandiera, confessando che lo dovevano al buon Fratello Scubilion. A specifica domanda del curato, risposero che non erano state le sue parole, perché essi non le capivano per il fatto che al buon Fratello mancava un dente incisivo e si esprimeva in maniera incomprensibile. Ma l’alone di santità che si sprigionava da lui li aveva conquistati, e ora si sentivano felici di essere tornati al gregge di Cristo.

C’è da meravigliarsi, dunque, se un po’ alla volta accorrevano a lui, anche dai posti più lontani, fiumi di persone per ascoltarlo e raccomandarsi alle sue preghiere?

UN MAESTRO INGEGNOSO

Quando calava la sera, Fratel Scubilion iniziava a catechizzare i lavoratori, con una scuola serale ante litteram. A questo punto non si sa se ammirare di più quei volenterosi alunni, che tra l’altro dovevano sorbirsi chilometri di strada a piedi, o il nostro santo Fratello che, dopo una giornata trascorsa con i più piccini, aggiungeva fatica a fatica con questa scuola in orario decisamente ingrato.

Erano normalmente 200/300. Fratel Scubilion adattava per essi contenuto e metodo, perché quegli uomini erano primitivi nella loro intelligenza e parlavano un dialetto creolo quasi del tutto incomprensibile. Erano digiuni di dottrina cristiana e dovevano fare i conti con una memoria arrugginita. Però erano desiderosi di apprendere.  Fratel Scubilion li divideva in gruppi omogenei per ovvii motivi didattici.  Ad essi insegnava le basilari verità della fede, le preghiere del buon cristiano e le principali regole di vita morale. Il tutto veniva spiegato e poi fatto ripetere tantissime volte, facendo ricorso al ritmo che i neri hanno nel sangue. Per essi si rinnovò la promessa della Bibbia: “I poveri mangeranno e saranno saziati”.

Interessante è rimasto il metodo usato da Fratel Scubilion per entrare nei cervelli e nella memoria di quegli alunni attempati. Si faceva ingegnoso e inventivo e ne uscivano fuori lezioni basate sul dialogo, con risposte singole o collettive, concluse spesso con melodici refrain.  Solo così la goccia poteva scavare la pietra.

Si trattava di insegnare le verità della fede?  Ecco una filastrocca rimasta celebre:

Sai dirmi quanti UNO ci sono? - Non c’è che un solo Dio che regna nei cieli. Non c’è che un solo cielo che debbo acquistare… un solo inferno che debbo evitare... una sola chiesa che debbo amare… un solo papa che debbo ascoltare. (Dopo ogni verità, si scalava tornando indietro, e si ricominciava tutto daccapo aggiungendo, una alla volta, un’altra verità.).

Sai dirmi quanti DUE ci sono? - Non ci sono che due testamenti: il vecchio e il nuovo… due luoghi eterni: l’inferno e il paradiso... due vie: del bene e del male… due nature in Cristo: la divina e l’umana.

Quanti TRE? - le tre persone divine: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo… i tre principali misteri della nostra fede: la trinità, l’incarnazione e la redenzione... le tre virtù teologali: la fede, la speranza e la carità.

Quanti  QUATTRO? – i quattro evangelisti: Matteo… - Quanti CINQUE? - le cinque piaghe del crocifisso. - SETTE sacramenti:  battesimo… - OTTO beatitudini: beati i poveri… - NOVE cori angelici - DIECI comandamenti… - DODICI apostoli...

Per la cronaca diremo che il numero 11 non trovò terreno adatto e che il SEI fu aggiunto dopo che nel 1848 gli schiavi ottennero le libertà civili: Ci sono SEI giorni per lavorare: lunedì...

Per gli ammaestramenti morali, Fratel Scubilion inventò dei distici ritmici e mnemonici.  Qualche esempio. “Chi in vita di prudenza sovente mancherà / al cuore e al corpo intero di certo nuocerà”. “Chi come un vile ladro sua vita condurrà / quando alla morte giunge invan si pentirà”. “ Chi i giorni suoi in ozio e in vizio passerà / di beni e di ricchezze giammai si arricchirà”. “ Chi parco è sempre stato, frugale e in sobrietà / a lungo egli vivrà, robusto e in sanità”.

Qualcuno arriccerà il naso davanti a questa metodologia. Ma dobbiamo ricordare che qui si parla di schiavi che vivevano 150 anni fa in un’isola sperduta dell’Oceano Indiano, in totale abbandono intellettuale, civile e materiale.

CITTADINO ONORARIO

Durante i suoi 34 anni di permanenza nell’isola della Réunion, Fratel Scubilion non ha mai amministrato sacramenti, né predicato dal pulpito. Nella sua parrocchia era l’ausiliario, anzi il vicario del curato, con il quale formava un perfetto tandem pastorale, cementato da reciproca fiducia, stima ed emulazione.

La parrocchia di cui si parla, e quella dove è rimasto più a lungo, era una delle più difficili dell’isola. Le pratiche religiose lasciavano molto a desiderare. C’erano degli indigeni che, pur battezzati, da anni non facevano più nemmeno il Precetto Pasquale. C’era addirittura uno zoccolo di persone duro a morire, che vedeva il nero dell’abito talare come il fumo negli occhi. Ebbene, dopo qualche anno di presenza di Fratel Scubilion in quella parrocchia, il cristianesimo riprese vigore e con esso le pratiche religiose. Tutti erano concordi nell’affermare che la trasformazione era avvenuta per l’esempio e le preghiere di Fratel Scubilion. Le cui prediche in chiesa erano solo la sua compostezza e la sua devozione: ben notabili, peraltro, perché il curato gli aveva riservato un posto nel coro che circondava l’altare.

Quando c’era da portare il viatico ad un malato che abitava lontano, sperduto nelle montagne, il curato si faceva accompagnare da Fratel Scubilion e insieme macinavano chilometri di strada bianca e polverosa. Con i peccatori notori i risultati erano più eclatanti e più gratificanti. Appena il  curato gli segnalava un caso difficile, il nostro santo Fratello partiva di gran carriera, sgranando per strada il suo rosario. Stranamente, il malato accettava la presenza della sua tonaca nera e si lasciava convincere, baciando con labbra tremanti il crocefisso e manifestando il desiderio di vedere il sacerdote. Fratel Scubilion, allora, si faceva da parte e lasciava il posto al curato con un gesto che diceva: ”Tutto è pronto; il malato vi aspetta; la pecorella smarrita è tornata all’ovile”.

E’ rimasto vivo nel ricordo di tutti il caso di un tale, più forte in bestemmie, sarcasmi e scandali che in preghiere e devozioni, il quale giaceva a letto moribondo, aspettando la fine come un cane. Dopo due vani tentativi operati dal curato, Fratel Scubilion si precipitò al suo capezzale e vi rimase inchiodato e in preghiera fino alla mezzanotte, quando all’improvviso l’incallito e duro peccatore manifestò il desiderio di vedere il sacerdote.

Se ai tanti casi come questi si aggiungono la scuola diurna per i fanciulli e quella serale per gli adulti, è facile capire come mai questo vecchio dalla testa bianca e dal dolce sorriso, sempre disponibile e pronto ad ogni richiesta, fosse riuscito a legare a sé il curato, ogni ceto sociale e gente di ogni colore della pelle. Si capisce pure il perché della santa gelosia che tutti nutrivano per lui. “E’ il nostro Fratello. Guai a chi ce lo tocca”. A tal punto che, quando, ormai vecchio e malato, i Superiori volevano trasferirlo altrove per farlo curare, la gente si ribellò decisamente: “Dov’è il nostro Fratello? Lo vogliamo sapere. Egli è nostra proprietà. Il suo posto è qui. Qui deve morire e qui deve riposare per sempre”. E così è stato. Fino ad oggi le reliquie non si sono mosse dall’isola della Réunion. Anche il papa Giovanni Paolo II nel 1989 per beatificarlo si è recato lì: nell’isola di Fratel Scubilion.

LA VOCE DEL POPOLO

Mentre Fratel Scubilion era ancora in vita, gruppi di pellegrini accorrevano dalle più sperdute località dell’isola della Réunion per pregare nella cappella che il santo Fratello aveva fatto costruire in onore della Madonna. Ma il loro vero intento era quello di vedere da vicino il santo di cui tutti parlavano e di raccomandarsi alle sue preghiere.

Dopo la sua morte il flusso dei pellegrini non diminuì, anzi aumentò. Non fu certo la propaganda che ne potevano fare i Fratelli, dato che 25 dopo la morte di Fratel Scubilion essi lasciarono la scuola e la cittadina. Nessuna spiegazione umana può giustificare questo fenomeno, ma solo la fama di santità che Fratel Scubilion aveva lasciato in tutti.

Con il viavai dei pellegrini, divenne quasi un rito tornarsene a casa con un souvenir di Fratel Scubilion. E così l’ibisco che ombreggiava la sua tomba, a forza di essere privato di foglie, di rami, di corteccia e di schegge di tronco, nel 1903 era del tutto scomparso. Oggi, anche la terra e la roccia attorno alla sua tomba fanno la stessa fine.

La causa di beatificazione fu subito introdotta, anche se la gente chiedeva a gran voce la beatificazione senza il processo. Tuttavia questa vox populi non poteva avere forza decisionale davanti alle ferree leggi canoniche, e così l’iter fu seguito in tutte le sue fasi, con grande dispendio di tempo e di energie. Il tutto, però, si concluse felicemente quando arrivò il richiesto miracolo.

Eccolo. Nel 1975 la signora M. Teresa Hoaneau, residente a Saint-Louis nell’Isola della Réunion, dovette essere urgentemente ricoverata per un fibroma all’utero, grande come un melone, che, a causa di una grave infezione, provocava incessanti e sfibranti emorragie. Il caso era gravissimo e senza vie d’uscita. Una malata sua vicina di letto, le parlò di Fratel Scubilion e le regalò una immagine-reliquia, esortandola a poggiarla sulla parte ammalata e invitando lei e il marito, distrutto dal dolore, a pregare con fede il santo Fratello. Sottoposta poco dopo ad un ulteriore e disperato intervento chirurgico, tornò dalla sala operatoria ormai morente. “E’ la fine – confessò il medico curante – non c’è più niente da fare”.

Il marito, dopo questo agghiacciante verdetto, rimase al capezzale della moglie, pregando con più fiducia e continuando a passare l’immagine-reliquia di Fratel Scubilion sulla parte operata. All’improvviso, un’idea strana e contraria ad ogni tecnica chirurgica, passò per la mente del medico curante, che applicò dei punti di sutura là dove fuoriusciva il sangue. Contro ogni previsione, la ribelle emorragia si arrestò, il polso riprese il suo ritmo normale e dopo qualche ora la moribonda era dichiarata fuori pericolo.

Il medico curante affermò: “Io non sono un praticante, ma debbo onestamente dichiarare che non sono state certamente le cure che ho apprestato alla signora Hoaneau a guarirla, perché essa era affetta da una cancrena all’ultimo stadio e il caso era proprio disperato. Pertanto la perfetta guarigione della signora è da attribuirsi a cause che oltrepassano le risorse della scienza medico-chirurgica”.

“E’ un miracolo” aggiungiamo noi. E’ un miracolo operato da Dio per l’intercessione di Fratel Scubilion. Chiaramente la voce di Dio si era unita alla voce del popolo.

Quindi, il papa Giovanni Paolo II beatificherà Fratel Scubilion nel 1989, non nella basilica di S. Pietro in Roma, ma nell’isola della Réunion.